SNGCI – SINDACATO NAZIONALE GIORNALISTI CINEMATOGRAFICI
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Caro Luigi
Colpito dalla qualità e dall’unicità dell’ operazione ‘Diaspora’ il nostro Direttivo, che è anche il cuore della Giuria dei Nastri del Documentario, ha deciso di andare oltre questo straordinario esperimento che unisce al cinema le ragioni della storia e della cronaca ma anche quelle, più personali e intime, di dare voce e volto ad una dispersione di affetti e di famiglie, facendoti forse recuperare, come sempre accanto a Marina, anche la tua ‘antica’ (sì ormai tra noi ‘antichi’ e nostalgici militanti del buon vecchio cinema forse possiamo definirla così…) anima di giornalista e critico, pur nella ricerca cinematografica d’autore.
Una ricerca che, frugando nella tua filmografia ostinata e coerente, dura da mezzo secolo.
Ed è questo che vorremmo riconoscerti consegnandoti il
Nastro d’Argento speciale
So già che lo condividerai con Marina e sono certa che non potrai non dedicarlo anche alla vostra storia, così rara nel panorama non solo cinematografico delle imprese che in questi cinquant’anni hanno profondamente cambiato non solo il lessico familiare ma anche quello degli affetti e delle sintonie personali. A voi non è successo e va premiata anche questa costanza che indica come non sia impossibile evitare i tradimenti di sé stessi, oltreché del proprio pubblico e, con una parola moderna, della ‘mission’ che si è scelta e perseguita.
Grandi complimenti da tutti noi. Con affetto.
Presidente
Laura Delli Colli
Ti aspettiamo quindi con Marina per il Premio
Giovedì 1° Marzo ore 19 c/o WE GIL, Largo Ascianghi n .5
Roma, 24 Febbraio 2018
Siamo fiere come leoni, meglio, come leonesse, del giusto riconoscimento al film immenso che avete realizzato travolgendo limiti geografici, temporali e soprattutto mentali. Vi ringraziamo di nuovo Luigi e Marina per avere voluto condividere con tanti il vostro progetto di memoria inclusiva con tutti quelli che hanno visto e vedranno Diaspora, ogni fine è un inizio. Un dono prezioso. Attraverso le molte differenze di una famiglia nella Diaspora avete riproposto il vostro amore per la vita, coraggiosamente indagata attraverso ricordi tenaci del passato ed esperienze spregiudicate (letteralmente senza pregiudizi) del presente. Avendo presentato puntualmente tutti i vostri film, con pervicace entusiasmo e facendone un contrassegno di tendenza del Festival di Cinema e Donne di Firenze, ci dichiariamo assolutamente felici.
Paola Paoli e Maresa D’Arcangelo
Cari Marina e Luigi,
grazie del bel regalo, delle emozioni ma anche delle informazioni, per me che non ho mai capito niente dell’ebraismo, un problema che esiste per me solo a livello storico ma per nulla personale (è come se non avessi mai conosciuto un ebreo). Eppure anni fa un tale mi chiese se ero ebreo: Aprà=Abraham. Chiesi a mio padre, che in effetti mi disse che durante le leggi razziali fu consultato, ma senza conseguenze. Pare che esistano degli Aprà ebrei milanesi, ma nessun rapporto col ramo piemontese da cui provengo. Comunque, immagino che il film faccia un diverso effetto a chi è ebreo. Per me ha un valore universale, nonostante sia così attaccato a una vicenda squisitamente personale. Mi piacciono le inquadrature diagonali di Luigi. Mi commuove l’ultima parte, con il nuovo nato e il futuro. E’ un film che nasce da una tragedia e si conclude con gioia e ottimismo. Bello…
Adriano Aprà, critico cinematografico
Caro Luigi,
mi ha fatto molto piacere partecipare alla visione di Diaspora, ogni fine è un inizio. E’ un gran bel lavoro (nella linea ormai consolidata di racconto e memoria) e non pesa la sovradimensione temporale, anzi. Diaspora mi pare che sia un viaggio alla ricerca di nuovi e vecchi incontri (e infatti sono bellissime e centrate le parti americane con un “prima” e poi un “ritorno”, bellissima la pausa nel deserto, ecc.). Ci sono personaggi davvero straordinari, che meriterebbero un film a parte. Non riesco a togliermi dalla testa il giovane rabbino (che dall’inizio del film non riuscivo a capire che cosa era, un bambino, un efebo, un ET), e poi il suo monologo finale. E poi, il racconto della Anna Bises a Milano, con il ricordo di quella battuta della madre (l’ebraismo non è una religione, è una razza). La differenza rimarcata (con delicatezza, ma fortissima) tra i convertiti e i non convertiti, gli ortodossi e i riformati. E poi l’intelligenza di certe aperture e poi il morso di certe sofferenze. Insomma un gran bel lavoro. Ancora complimenti…
Piero Spila, critico cinematografico
Caro Luigi,
se non sapesse di retorica direi che DIASPORA risulta monumentale. Tanto nella concezione quanto nella tessitura delle testimonianze e nella somma di riflessioni che queste provocano. E’ come se, attraverso il periplo di Marina, insieme con le vicende dei suoi ascendenti e parenti, scorressero secoli di Storia, e spesso, sappiamo, di brutta storia, ma allo steso tempo si sprigionasse un senso dell’esistenza nel quale si integrano corpo e spirito con una naturalezza straordinaria. Basterebbero la cerimonia rituale che sfocia in un caldo ballo collettivo e le molte tavolate attorno all’ospite che diventano festa del cibo e stimolo ai ricordi e ai rimpianti di un passato vissuto, magari da qualche antenato, nella terra d’origine. Tutta questa forza fondante del legame familiare è stata per me una scoperta. E complimenti a Marina, cuore pulsante del film.
Pietro Pruzzo, critico cinematografico
Il film è assai lungo ma bello, denso, intenso, e comunica molti turbamenti e moltissimi interrogativi: sulle persecuzioni e sugli eccidi perpetrati dal nazi-fascismo, sulla conseguente nuova diaspora del popolo ebraico, sui cambiamenti degli stili di vita degli ebrei nelle diverse parti del mondo, sul loro modo di intendere, vivere e interpretare la halakhà
Bianca Bassi Disegni
Una storia di gioie e dolori, di fughe e nuovi mondi, di nascondigli e nomi segreti. Ma soprattutto una storia d’amore. Di famiglie espulse dall’Italia, che hanno fruttificato nel mondo. Si può condensare così Diaspora, ogni fine è un inizio, il film interpretato dalla produttrice Marina Piperno (che, venticinquenne, fu la prima produttrice donna d’Italia e nel 1962 fondò la Reiac film) e girato dal suo compagno di avventure cinematografiche, il regista Luigi Faccini.
Dopo aver trascorso una vita intera dall’altra parte della cinepresa, Marina Piperno ritorna da protagonista e narra agli spettatori la lunga e travolgente saga della sua famiglia, all’alba della promulgazione delle leggi razziali e razziste del 1938. Ad aprire il film, della durata di 4 ore e diviso in 6 capitoli, un suggestivo scorcio di Pitigliano e del suo cimitero ebraico. La scena cambia poi registro e vede al centro una foto nella quale sono raffigurate la famiglie Piperno, Sonnino, Fornari, Bises e Di Segni riunite nella casa Piperno, di Anzio, nell’autunno del 1938. “Credo che fu proprio quello il momento – racconta Marina – nel quale i componenti della famiglia decisero di emigrare in America per sfuggire alle leggi che li avevano isolati dal resto della società solo perché ebrei”. “Nella foto – prosegue – io avevo tre anni e appaio stupita, forse spaventata. L’aria che si respirava e che emanavano gli adulti, nonostante i sorrisi aperti di qualcuno, era quella dell’insicurezza”. È dalla bella foto di famiglia, ritrovata in un antico album, che Marina parte per inseguire le tracce dei suoi parenti, raggiungendoli prima in America, a New York, e poi in Israele, interrogandoli in un clima colloquiale tipico della riunione famigliare, sulla loro identità ebraica e sulle lacerazioni ereditate dalla ferita delle leggi razziali e della persecuzione.
“La famiglia – dice Marina – è uno specchio paziente nel quale ci si riconosce, condividendo le strade da percorrere”.
Alla fine del 1938, racconta, suo padre Simone andò a New York per tastare il terreno in previsione di un possibile trasferimento. Gli americani avevano però limitato l’accesso ebraico e impedirono a nonna Rachele, anziana e per loro improduttiva, di venire con noi.
Fu così che mio padre decise di rimanere a Roma, rischiando la propria vita e quella nostra per tutti gli anni che seguirono, fino all’entrata a Roma degli americani il 4 giugno 1944.
“Ho passato un’infanzia all’insegna della separazione, della diversità e dell’esclusione. Dovevo studiare nella scuola per soli ebrei e avevo come voti tutti lodevoli, persino in storia del fascismo. Che vergogna. Dicevano che gli ebrei erano il male del mondo, ci isolavano, ma ci obbligavano a studiare Storia del fascismo”, spiega la produttrice-narratrice, mentre mostra le sue pagelle scolastiche. Quando il 16 ottobre 1943 gli ebrei di Roma furono arrestati e deportati dai nazisti, la famiglia Piperno venne avvertita della retata e così, lasciando la propria casa, si mise in cammino alla ricerca di un rifugio. “Percorremmo una strada lunga e stretta fino a che una porta si aprì e venimmo ospitati da una famiglia che ci fece dormire su dei letti di fortuna. Io non capivo e volevo uscire. Fu allora che ricevetti da mio padre l’unico schiaffo della mia vita”, rievoca Marina.
Diaspora, ogni fine è un inizio viaggia continuamente su due piani, quello del passato e quello del presente, rovistando nella memoria fotografica e nei documenti delle famiglie apparentate, identificando relazioni e sovrapponendole ad immagini festose di famiglie moderne e cosmopolite. Ad ognuno dei protagonisti viene fatta la stessa domanda: Che ebreo sei? Ricevendo, il più delle volte, risposte davvero sorprendenti.
Pagine Ebraiche n. 2 | febbraio 2016
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Diaspora, ogni fine è un inizio è un film è di estremo interesse, perché, ripercorrendo le vicende di una famiglia ebraica romana, restituisce uno spaccato significativo dell’ebraismo italiano, dalla fase conclusiva dell’Età dei ghetti sino ai nostri giorni. Il film, consapevolmente, sottolinea le differenti interpretazioni dell’ebraismo, poco o nulla ortodosse, da parte dei membri della famiglia Piperno. Ed è l’apparente contraddizione che ha caratterizzato tutto l’ebraismo contemporaneo. Il periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento a tutto il Novecento ritengo sia stato una fase storica fortemente segnata sia dall’esplosione della vita sociale, economica e culturale di molti ebrei, sia dall’arretramento della vita ebraica, in Europa e non solo. In effetti, senza voler citare i soliti Marx, Freud ed Einstein, l’emancipazione aveva determinato l’inserimento qualitativo di molti ebrei nella società civile, con risultati straordinari in assoluto e, soprattutto, in relazione al numero esiguo di ebrei rispetto alla popolazione mondiale. Tuttavia, nello stesso tempo, molte collettività ebraiche entrarono in crisi per effetto dell’assimilazione e la stessa Comunità romana, agli inizi del Novecento, rischiò di chiudere i battenti per mancanza di contribuenti. Le leggi razziali del 1938 e le persecuzioni assestarono un colpo molto duro alla compagine, che comunque seppe rialzarsi. Diaspora, ogni fine è un inizio ricostruisce molto bene, anche emotivamente, quei difficili momenti e le vicende successive alla seconda guerra mondiale si snodano tra Europa, Americhe e Israele, dove i vari rami della famiglia Piperno s’insediarono, contribuendo alla vita ebraica in modo spesso originale e imprevedibile. Non di rado si nota una certa difficoltà, da parte di alcuni degli intervistati, nel comprendere i nuovi fenomeni associati al recupero, da parte di molti ebrei, delle proprie radici attraverso una maggiore osservanza dei precetti religiosi. Anche questo è uno dei temi di maggior attualità di cui molte comunità dibattono, argomenti che vedono schierati da un lato, ma in ordine sparso, chi era abituato a un’osservanza “blanda”, ma fortemente interiorizzata, fatta di tradizioni orali familiari più che di studio, e dall’altro chi intende reintrodurre una tradizione più rigorosa nell’abito dell’ortodossia. Dall’intera narrazione esce l’immagine di un’identità ebraica vivace e gioiosa, di famiglie che hanno fatto del proprio ebraismo un baluardo identitario forte, anche se non privo di contraddizioni. Un multiculturalismo ebraico influenzato delle esperienze vissute in ambienti italiani, statunitensi e israeliani, e in epoche diverse, che ha forgiato le nuove generazioni attraverso uno dei pensieri più profondi espressi dall’ebraismo: LeDor VaDor. In altri termini la capacità di tramandare le tradizioni da genitori a figli e a nipoti. Tradizioni che non sono mai entrate in contrasto con le culture dei territori in cui vivono o hanno vissuto i membri della famiglia Piperno. Diaspora, ogni fine è un inizio, infatti, contribuisce a sfatare un altro mito: l’incompatibilità della cultura ebraica con l’idea di nazione. Tale problema (molto europeo), soprattutto negli USA, non è avvertito. In America nessuno si sente in diritto di chiederti se ti senti più ebreo o più americano.
Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento Beni e Attività Culturali (DiBAC) della Comunitˆ Ebraica di Roma
Diaspora, ogni fine è un inizio di Luigi Faccini racconta il viaggio di Marina Piperno nel passato della sua famiglia, costretta alla fuga dall’Italia a causa delle leggi razziali del 1938; ma anche nel presente, attraverso l’incontro con i “cugini” sparsi per il mondo. Sicuramente un’opera importante, per diversi motivi.
Dal punto di vista cinematografico: il documentario mostra come si realizza un film lungo più di 4 ore e come il regista riesca a tenere l’attenzione dello spettatore, che si interessa al racconto anche se è totalmente estraneo alle famiglie di cui si narrano le vicende, sia drammatiche sia gioiose.
Dal punto di vista genealogico: il documentario mostra come, raccogliendo informazioni sui materiali fotografici e documentali della propria famiglia, ma anche negli Archivi istituzionali, oltre a realizzare incontri e interviste con i parenti sparsi per il mondo, si possa parlare sia del passato sia del futuro, ricostruendo interessanti spaccati della microstoria all’interno della macrostoria.
Dal punto di vista sociologico: è interessantissimo rilevare i più diversi punti di vista delle persone incontrate, soprattutto sul tema dell’identità e dell’appartenenza al popolo ebraico, declinato nelle molteplici espressioni derivanti dai continenti e dai paesi di insediamento. Nelle diversità resta un filo rosso comune, ovvero la constatazione che la caratteristica principale dell’ebraismo sia l’attenzione alla “zedakà”, ovvero l’aiuto agli altri, che non è “carità” ma “giustizia”, un operare, per lo più anonimo, allo scopo di ripristinare l’ordine originario scomposto dal comportamento errato dell’umanità.
Dal punto di vista didattico: il documentario è utilissimo per insegnare agli studenti come effettuare una ricerca genealogica e contemporaneamente utilizzare i dati rilevati per costruire un prodotto moderno e stimolante, ma anche la redazione di una sceneggiatura o di un’altra struttura narrativa.
Silvia Haia Antonucci, Responsabile dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma (ASCER) “Giancarlo Spizzichino”
Diaspora, ogni fine è un inizio è il resoconto, vivo e sorprendente, del lungo viaggio transcontinentale compiuto da Marina Piperno alla ricerca dei discendenti della sua famiglia d’origine, sparpagliata nel mondo all’alba delle leggi razziste del 1938. Partendo dall’unica fotografia di gruppo di cui disponeva e raggiunti i parenti più lontani, negli Stati Uniti e in Israele, Marina svolge delle vere e proprie ricerche d’archivio, assemblando, come in un puzzle, i frammenti di vita amorosamente raccolti. È infatti l’amore a suggerirle i passi da compiere, quello stesso amore che emerge negli incontri con i parenti che hanno assorbito l’identità dei luoghi di approdo. Alcuni di loro sembrano, agli occhi di Marina, persone lontanissime, altre mantengono un legame forte, fino alla nostalgia, con le proprie origini, che spesso stupisce la stessa protagonista. In ogni caso tutte loro sentono, consciamente o no, il dovere morale di ricordare. Qualcuno lo fa conservando degli oggetti appartenuti agli antenati italiani, altri donano un pezzo, anzi direi una “traccia”, della propria vita. Un altro elemento protagonista del film è la convivialità. Le conversazioni, gli scambi di informazioni e di opinioni, tra Marina e i suoi parenti, avvengono sempre attorno ad una tavola imbandita. Che sia un kiddush o un pranzo domestico, il cibo unisce e invita al dialogo. E’ così che le riflessioni di Marina diventano un flusso di coscienza e voce narrante che ci consentono di comprendere l’accaduto, individuale e collettivo. Tra le numerose domande che Marina rivolge ai suoi parenti una rimane sempre la stessa: “Che tipo di ebreo sei?”. E’ così che Marina, al culmine della sua ricerca e del suo viaggio, ha rafforzato la propria identità ebraica.
Giorgia Calò, Assessore alla Cultura della Comunità Ebraica di Roma
Diaspora, ogni fine è un inizio is a moving and powerful epic movie. We totally enjoyed it. The movie recounts the story of a ‘romana’ Jewish family from the beginning of the twentieth century. The axis of the film is Marina Piperno, who recounts the story in her own voice, interwievs and travels to the US, Israel and to Italy. Luigi Faccini, her husband, is the director and an active participant in the conversation, though he is not seen at any point in the film. Thus, while Marina is the central figure in the movie, Luigi leaves his trace in the background. Most of Marina’s family moved to the U.S. after Mussolini declared his racial laws against the Jews. Her immediate family stayed in Italy and hid during the war. Many immigrated to Israel and have made their homes there. Her quest is to see and show how the Jews in the Diaspora and Israel need not be a part of the legacy of Jewish victimization, but rather proud and independent of past stigmas. She culminates the movie in a full circle by giving her father’s Kiddush cup to her great nephew, Ari Fornari, who lives in the US. This symbolic act unites and closes the circle of her family, by her action. This subject has not been dealt with nor presented in this fashion before and will deserve its merit. Beyond being a strongly personal and gripping film, it is an important and rich historical and sociological document, shedding important light on the Jews of Italy and their journeys.
Edna Barromi Perlman, Visual Researcher
Cari Luigi e Marina,
ieri sera (e un po’ della notte) ho fatto con voi, con molto piacere, la seconda traversata del deserto, inseguendo le vostre “tracce d’amore”. L’impressione positiva è ora molto più solida e convinta. E’ un gran bel lavoro, secondo me unico nel suo genere, certo per la sovradimensione temporale (che però è quella del viaggio e della memoria, dunque inevitabile), ma soprattutto per il partito preso di voler raccontare la storia attraverso le sue pieghe più intime, sia familiari che collettive. Mi sembra che il film riesca a dare il senso di una scoperta a ritroso, a volte amara, spesso piacevole, quasi sempre sorprendente. Un lungo viaggio nella geografia (dal cuore di Manhattan al deserto del Negev, dove “migliaia di beduini continuano a non volersi integrare nello stato israeliano”, dalla Tel Aviv occidentalizzata e frenetica alla mitica Masada), nel tempo (dai bellissimi materiali cinematografici anni Trenta, in bianco e nero, pieni di sorrisi e di ombre in arrivo, fino alle riunioni di famiglia di oggi, calorose e guardinghe) e infine nella coscienza, e qui in certi momenti (gli incontri, le interviste, qualche confessione) mi veniva in mente Proust, non tanto per l’esercizio della memoria e della ricerca, quanto per certi soprassalti di fronte alle domande più stringenti. Le nuove generazioni in confronto a quelle passate. E la domanda che di continuo ritorna: “Tu che ebreo ti senti di essere?”. Le risposte sono quasi sempre puntuali, spesso simili (ortodossi o riformati, sono quasi tutti colti, aperti al mondo, rappresentano l’ebraismo moderno, a volte addirittura atei), donano l’impressione di una grande diaspora (stavolta culturale) ancora in atto. Una grande caduta di lapilli che sale o viene giù e che voi siete stati bravi a fissare in questo momento storico. Come diceva Pasolini tutto diventa prezioso quando si sa che deve morire, qui per fortuna non c’è niente di apocalittico e mortale, però l’impressione è che tutto continuerà a cambiare ancora, che i figli e i nipoti americani o israeliani saranno sempre più diversi dai padri e ancora più dai nonni. Una diaspora che continua e che voi avete documentato in certe pieghe, molto private ma alla fine universali. Tutti lontani e tutti molto vicini, diversi eppure uguali. Ed è bellissima la testimonianza di Letizia Di Castro Piperno, novantenne, che ogni mattina la prima cosa che fa è di andare a salutare i nipoti. Mi sembra la battuta che potrebbe dare il senso a tutto il film. Questi nipoti saranno diversi, avranno altre idee e altre preoccupazioni, ma forse ricorderanno. Che dire di Marina? E’ bravissima, col suo passo sicuro e la sua curiosità inesauribile. “Diaspora, ogni fine è un inizio” non parla solo agli ebrei, ma alla memoria privata e familiare di ognuno. Ancora complimenti e buon lavoro per il prossimo viaggio.
Piero Spila, co-direttore di Cinecritica e vicepresidente del SNCC (Sind. Naz. Critici Cin.)
38. Festival Internazionale di Cinema e Donne – Firenze
EVENTO SPECIALE
Diaspora, ogni fine è un inizio di Luigi M. Faccini con Marina Piperno
La prima produttrice cinematografica italiana si mette dall’altra parte della macchina da presa, e racconta la storia della sua famiglia.
Una storia unica e condivisa, lunga più di un secolo e tre continenti,
una religione e un’umanità.
Un’opera-mondo e un ritratto di donna appassionante.
È per domani, martedì 8 novembre dalle 18.30, la prima mondiale, come Evento speciale del 38. Festival di Cinema e Donne di Firenze, di Diaspora, ogni fine è un inizio, il nuovo film di Luigi Faccini con grande, sorprendente protagonista Marina Piperno. Un film unico, un’opera-mondo personale.
Dopo una vita appassionata dietro la macchina da presa come produttrice (prima donna in Italia a misurarsi con una professione tipicamente maschile) Marina Piperno si è messa davanti alla camera per raccontare la storia della sua famiglia. Una saga travolgente, dall’alba delle leggi razziali promulgate dal regine fascista nel 1938 a imitazione di quelle hitleriane, fino ad oggi, quando i cugini americani, israeliani ed europei, rintracciati durante il suo viaggio transcontinentale, sono già di terza generazione. Un viaggio e un racconto che parte da Pitigliano e subito vola a New York, Lower East Side, per poi atterrare sul deserto del Negev, tornare al Ghetto di Roma, e toccare tante propaggini di orienti e occidenti diffusi. Un racconto che scivola e si rincorre tra foto d’epoca in pose solenni e l’agilità di una piccola camera digitale, dove memorie di più di un secolo viaggiano su pc e chiavette, o tra commoventi filmini familiari in 9 millimetri, e citazioni di perenni classici come Casablanca o Come eravamo.
Un viaggio e un racconto fuori formato consueto, con le sue quattro ore di visione, che scorrono come un racconto davanti a un fuoco. Fuori da un solo Paese, un solo Continente. Fuori da un solo medium, con immagini diversissime, e archivi, musiche di mondi differenti, interviste e decine di incontri, invenzioni visive. Fuori anche da una sola religione e una sola cultura, con la curiosità aperta e dialettica di Marina Piperno, alla conquista di una più solida identità ebraica, che sia però in ascolto col mondo, e con la libertà di conviverci. Frugando nella memoria fotografica e nei documenti delle famiglie a lei apparentate, sovrapponendovi le immagini spesso festose dei discendenti, ebrei moderni e cosmopoliti, gente studiosa e affermata, Marina mescola passato e presente, vivificando l’uno e l’altro in modo sorprendente, facendo emergere la tenace resilienza ebraica e la sua infinita varietà identitaria.
Come una Mille e una notte da camera, Diaspora, ogni fine è un inizio, seguendo Marina con lo sguardo dell’uomo di cinema e sodale Luigi Faccini, regala il racconto di un secolo lungo e oltre, contenuto nella vicenda personale di una donna.
Uno spicchio di storia e di mondo nel quale non è difficile sentire che qualcosa, di quella storia, ci riguarda da vicino.
Marlon PELLEGRINI – Ufficio stampa ISTITUTO LUCE-CINECITTÀ srl