LA BAIA DELLA TORRE CHE VOLA (1997)



«Abuelo, cùnteme…». Nella richiesta fiduciosa che l’autore rivolge ad un nonno madornale, nostromo sui brigantini in partenza da Lerici e diretti verso il Sud del mondo, sta la chiave epica e linguistica del romanzo. Così, come in tutte le “fole” dei marinai, ondate ingoiano bastimenti e saette squarciano il cielo buio, mentre gli eroi, e i loro antagonisti,appaiono dalla nebbia che un lume trasforma in lanugine iridescente. Nelle parole, comuni e arcane, di quell’uomo,l’autore cerca protezione, per colmare il vuoto silenzioso del tempo, per dare fondamenta alle proprie ansie edinoltrarsi nel futuro.

La baia della torre che vola è il “cunto” di un mondo ormai sommerso, che l’autore desume dalle leggendefamiliari, e dall’invenzione, per trasferirlo al lettore. Favola delle illusioni egualitarie e degli inganni patiti dai più poveri, epopea dell’andare, tornare, migrare, sparire, oltre gli accattivanti o minacciosi orizzonti marini; “cunto”, maanche Storia “maggiore” nella quale ognuno, con il suo carico di vita e sofferenza, è destinato a dissolversi. Saga,quindi, di una famiglia di naviganti, che la fine della marineria a vela costringe a diventare operaia, partecipedell’antifascismo e della Resistenza.

“Ultimo”, padre putativo dell’autore e protagonista del romanzo, viene accusato, quale mandante, dell’uccisionedi una doppiogiochista dopo il 25 aprile 1945. Puniti gli esecutori, partigiani giovanissimi, assolto “Ultimo”, quell’omicidio segna l’intera famiglia. È quella vergogna rimossa che l’autore aggredisce furiosamente. Scritto inuna sorta di galoppo del cuore, liberando le emozioni, frenandole, immergendosi nel tempo, cercando ostinatamente nel passato per sostenere il futuro possibile, La baia della torre che vola inquisisce dolorosamente il mito resistenziale,in un riaffiorare aspro che ne ristabilisce la necessità.